Recensione di A. Huizing (2018), Come ho scritto un libro per caso, La Nuova Frontiera Junior, Roma.
La morte, lo sappiamo, è un evento logico e naturale, eppure “è un bel problema se tua mamma è morta”. Inizia così uno dei più spiazzanti e delicati libri per ragazzi in cui la scrittura graffia ogni pagina nel raccontare una storia semplice e profondamente autentica.
Katinka ha tredici anni e vive con il papà ed il fratello più piccolo nel ricordo di una mamma “deceduta” come ama dire la gente, o per meglio dire “morta”, come preferisce ammettere Katinka senza tanti giri di parole. Ma se c’è qualcosa che lenisce in parte il suo dolore, è la voglia di scrivere un libro e diventare scrittrice come la vicina di casa, Lidwien, autrice di indiscussa fama. La voglia di inventare storie, si fa però inconfessato bisogno di scrivere la propria storia, da quando è entrata nella sua vita Dirkie, nuova compagna del papà. Così, in cambio di qualche lavoretto per il giardino, Katinka si presenta alla drimpettaia e in un impeto di coraggio le rivela: ”Voglio diventare scrittrice” ho detto ”E nel dirlo mi sono spaventata persino io. Non potevo pensare a un inizio migliore? “Io scrivo sempre anche nella mia testa, voglio dire” (p.10) “[…] quando mi succede qualcosa mi viene naturale costruirci sopra una storia come se io fossi la protagonista del libro. E a volte m’invento un finale diverso” (p. 11).
Accanto al capanno dei libri sotto gli alberi e la panchina assolata dove il gatto Nerone si allunga, sarà proprio Lidwien ad aiutare Katinka nel difficile esercizio del fraseggio, e capitolo dopo capitolo, le insegnerà ad osservare e a descrivere, a orchestrare il valore della tensione narrativa, a costruire i dialoghi e cogliere il ritmo delle parole, “Dovremmo parlare un po’ delle frasi” ha detto Lidwien il venerdì seguente, Frasi… ho ripetuto. Sì, sai quella serie di parole in fila all’altra”. Sono scoppiata a ridere. “Cosa c’è con le frasi?”
Sarei dovuta stare più attenta durante le lezioni di grammatica, perché Lidwien ha iniziato a parlare di soggetto, predicato nominale e verbale, complemento diretto e indiretto (questo cos’era?) e di come si possa giocare a spostare il loro ordine” (p. 46) “[…] Non è che mi toccherà riflettere sull’ordine delle parole di ogni frase che scrivo?” (p. 47)
Tutti i venerdì, terminata la scuola, Lidwien e Katinka si ritroveranno in giardino, a rileggere e correggere, costruendo assieme una doppia e sorprendente linea narrativa: un utile manuale di scrittura e, al tempo stesso, un percorso introspettivo simile un’autobiografia cognitiva.
Come ho scritto un libro per caso non narra, infatti, solamente le vicende di Katinka, ma è il libro stesso che via via si fa racconto di come scrivere una storia, perché gioca la trama su due livelli che si intersecano e si completano vicendevolmente, richiamandosi di continuo. Passo dopo passo, con scarti temporali e guizzi dell’emozione, leggiamo contemporaneamente la storia della protagonista e i consigli di scrittura che permettono ai suoi pensieri di prendere forma. Un testo a più voci, segnate con un font diverso, che travalica il tema della morte per diventare finzione e ricerca, processo e prodotto, fantasia e realtà.
Tuttavia, la storia di Katinka non è un diario, come si potrebbe supporre, quanto piuttosto la descrizione puntuale di un cammino faticoso tra la complessità dei pensieri e degli argomenti, e i limiti evidenti delle capacità di allineare queste idee in forma scritta. Ogni capitolo lievita, per così dire, nell’attività di ricostruzione agganciata alla memoria, e inciampa e rallenta per l’ansia di non scrivere mai abbastanza, per il sovraccarico emotivo del ricordo e della nostalgia.
Con leggerezza, ironia, e un pizzico di stravaganza, Lidwien e Dirkie accompagneranno la piccola Katinka a conoscersi meglio: la prima l’aiuterà a cercare attraverso la scrittura quelle cose che non si sanno, a misurarsi con le immagini e le cose da dire; la seconda favorirà il dialogo essenziale con i desideri più nascosti, le angosce e le rabbie improvvise.
Diciamo quindi – ed è questo uno dei meriti del libro – che la scrittura costituisce per Katinka lo strumento che la porta a pensare meglio e a trovare finalmente un’immagine di sé. Infatti, in una delle pagine conclusive scrive:
Mia madre è morta, ma è ritornata da me. Grazie al video e grazie a Dirkie. Mia madre è ritornata da me e questo mi basta. Un giorno lo scriverò. In una storia, in lettere (che le manderò con un aquilone) in un libro. Un giorno scoprirò anche quali erano i lati meno belli del suo carattere, ma adesso non voglio ancora saperlo. Ora conservo l’immagine del video, mia madre con quel bel vestito, mia madre che mi prende in braccio e che mi guarda come se le piacesse tutto, ma proprio tutto di me. (p. 152).
Che cosa può dirci questo originale libro per ragazzi?
Innanzitutto che le belle storie non hanno bisogno di effetti speciali o mirabolanti avventure per essere avvincenti; poi che è prerogativa degli scrittori nordici raccontare con estrema naturalezza le molteplici sfaccettature della quotidianità fatta di conflitti, di sentimenti, di ferite e turbolenze emotive cui dare un nome senza mai cadere in una retorica consolatoria.
Ma questo libro ci parla anche del grande amore per i libri, e ci ricorda il legame inscindibile tra lettura e scrittura perché: “Se uno sa leggere non è mai solo e vive un sacco di esperienze. È per questo che devi andare a scuola. Per imparare a leggere. E naturalmente, a scrivere” come chiosa Lidwien. (p. 64)
Infine, questo libro ci ricorda in filigrana che alcune forme di scrittura partono dalla propria vita, perché non esistono solo regole e istruzioni con cui misurarsi, ma esiste una postura linguistica che coinvolge il corpo stesso, quando il silenzio cala sulla pagina bianca.
Emergono inoltre dal libro alcuni spunti interessanti per riflettere sulle tecniche di scrittura da proporre in una classe di secondaria di primo grado.
Poiché ciascun capitolo è accompagnato da consigli tecnici di scrittura (in grassetto), ecco pronto un eserciziario guidato e graduale per riflessioni che spaziano dalla descrizione di stati d’animo all’ordine delle parole, dall’osservazione della realtà, alla selezione delle informazioni.
Inizialmente questa parte doveva essere lunga il doppio, anzi il triplo. Liedwien mi aveva dato un compito. Dovevo togliere dieci frasi. Dopo dovevo rileggere bene il testo e valutare se un lettore riusciva ancora a seguirlo. Potevo aggiungere soltanto qualche parolina.
Sono corsa a prendere il mio portatile. Mentre Liedwien leggeva un libro con Nerone in grembo, ho cancellato dieci frasi e ho ricucito insieme il testo rimasto. L’ho fatto rileggere a Liedwien sul mio schermo. “Magnifico” ha detto. Secondo me non l’aveva letto veramente. “E adesso fa la stessa cosa ancora una volta”. “Non andava bene allora?” ho chiesto. “Spieghi troppo” ha detto. “È più avvincente se non racconti tutto”.
“Più avvincente?”
“Devi raccontare giusto ciò che serve a incuriosire i lettori.” (pp. 35-36)