Recensione di Francesca Gallina (2021), Italiano lingua di contatto e didattica plurilingue, Franco Cesati Editore, Firenze.
In questo post ci soffermiamo con piacere su un piccolo libro che ci appare molto utile: la scuola italiana, infatti, accoglie bambini e ragazzi non nativi da almeno 40 anni, ma − al di là dei documenti ministeriali − mancavano ancora quasi del tutto sintesi complessive e agili strumenti di trattazione delle principali questioni. Ha invece queste caratteristiche il volume che recensiamo, curato e in gran parte scritto da Francesca Gallina, uscito nel 2021 all’interno di una collana di Franco Cesati dedicata ai Quaderni di base del Giscel, che trattano temi fondamentali per l’educazione linguistica a partire dalla 10 tesi per un’educazione linguistica democratica. L’autrice, di scuola senese, è docente di Linguistica educativa all’Università di Pisa ed è recentemente diventata segretaria nazionale del Giscel, di cui raccoglie la migliore tradizione. Da parecchi anni si occupa delle specificità di quegli studenti che vengono variamente definiti ‘stranieri’ / ‘di cittadinanza non italiana’ (MIUR) / ‘non nativi’/ ‘multilingui’ (Pallotti), ‘nuovi italiani’ (Giscel 2017) o, infine, ‘studenti di background migratorio’, più ampia e comprensiva. Per loro, l’italiano non è la L1, ma neppure semplicemente una L2, quanto piuttosto una lingua di contatto, che si forma in ambiente in cui convivono strettamente diverse lingue e culture. Tale etichetta, proposta nel 1953 da Uriel Weinreich 1953; trad. it. 2008: 3) ed entrata nel sistema educativo grazie al ministro Tullio De Mauro nel 2000, riconosce non solo le peculiarità della situazione dei ragazzi di background migratorio, ma anche
«la complessità e la potenziale ricchezza, che non è data dalla somma di più monolinguismi, ma da una visione globale della pluralità linguistica di ciascun parlante bilingue o plurilingue (Grosejan 1985)»
(ivi, p. 19)
Il capitolo 2 è dedicato dunque ai repertori e usi linguistici di tali alunni: dopo un opportuno richiamo al plurilinguismo che caratterizza la situazione italiana, riconosciuto e valorizzato già nelle 10 tesi, si presentano le caratteristiche dei ragazzi a partire dai dati Istat e dalle ricerche presentate nel convegno Giscel del 2016 L’italiano dei nuovi italiani, notando come nel 79,9% dei casi i ragazzi nati in Italia considerino l’italiano la loro madrelingua e come la loro presenza porti ad una maggior italianizzazione anche della famiglia. Per loro e per chi è arrivato nel nostro Paese in tenera età, l’italiano come lingua della socializzazione e della scolarizzazione acquista spazi sempre maggiori, e ciò porta spesso a un’erosione delle lingue di origine, le quali possono essere svalutate dagli stessi ragazzi, soprattutto quando sono meno prestigiose. Il fenomeno presenta alcuni rischi in quanto la lingua è strettamente legata all’identità, che in questo caso è plurima e talora complessa: la scuola dunque deve dare un importante contributo al mantenimento e alla valorizzazione delle lingue di origine, educando gli studenti alla consapevolezza che il plurilinguismo riguarda tutti noi e che costituisce una grande ricchezza, da coltivare con cura. [p. 39].
Nel capitolo 3 si entra nel vivo dello sviluppo delle competenze linguistico-comunicative in italiano L2, evidenziando sinteticamente le differenze tra l’acquisizione di una seconda lingua rispetto alla lingua materna e i fattori linguistici ed extralinguistici che incidono nell’acquisizione, mentre nel capitolo 4 ci si sofferma sul ruolo delle lingue di origine e sulle caratteristiche del bilinguismo, adottando l’approccio olistico proposto dallo studioso François Grosejan per cui il bilingue non ha – in genere – una competenza bilanciata nelle due (o più) lingue che conosce, ma livelli diversi di competenza, in relazione ai fattori che ne influenzano l’acquisizione (età e contesto di apprendimento, esposizione all’input…). La recente letteratura (ad esempio l’agile volumetto Il cervello bilingue di Garaffa, Sorace, Vender 2020) mette sempre più in rilevo come il bilinguismo sia fonte di importanti vantaggi che riguardano sia le capacità di riflessione metalinguistica, di distinzione tra forma e significato delle parole, sia, più in generale, abilità cognitive come quella del problem solving. Già negli anni Ottanta del Novecento, tuttavia, Jim Cummins, studioso di origine canadese, evidenziava come le competenze nelle due (o più lingue) di un individuo siano come due punte di un iceberg che hanno comunque “una base condivisa di elementi linguistici e cognitivi” (p. 40). Le conoscenze acquisite in una lingua possono essere dunque traferite all’altra, a patto però che per entrambe vi sia una competenza linguistica sufficiente (un livello soglia). Purtroppo, per le heritage lingue minoritarie e poco prestigiose parlate da molti dei ragazzi di background migratorio in Italia ciò spesso non accade: i ragazzi si limitano ad averne una competenza solo orale e neppure troppo approfondita. Tanto più importante diventa quindi curare anche a scuola le lingue di origine di tutti gli studenti, esponendoli ad input di qualità (anche scritti) e a processi di confronto interlinguistico, che diano pari dignità a tutti gli idiomi.
I capitoli successivi (6-7) analizzano le diverse situazioni possibili, in quanto i bisogni dei ragazzi di background migratorio possono diversificarsi parecchio: vi sono i neoarrivati, che necessitano di apprendere l’italiano di base per comunicare, per il quale di solito bastano 1 o 2 anni (le cosiddette BICS = Basic interpersonal Communication skills, per Cummins, o itabase con tradizione italiana), anche a seconda delle lingue di partenza, e vi sono invece quelli che già conoscono le basi della lingua, ma hanno bisogno di appropriarsi dell’italiano come lingua per studiare e farsi strada nel mondo del lavoro. Sono le CALP = Cognitive Academic Language Proficiency, le competenze di tipo accademico, o l’itastudio, che richiede molto più tempo (5-7 anni) per essere appreso e percorsi ben pianificati, in fin dei conti non così lontani da quelli che devono percorrere anche i loro compagni nativi, benché ovviamente rafforzati. Come fare però? Bisogna innanzitutto cambiare la didattica adottando, come da molto tempo ci si propone nei documenti ufficiali, ma con scarso riscontro nella pratica in aula, una prospettiva plurilingue ed interculturale, previa formazione del corpo docente (cap. 6).
Centrale nel libro ci sembra il capitolo 8, Prospettive didattiche, che entra nel concreto della pratica in aula. Per prima cosa, si dice, occorre partire dal retroterra linguistico di partenza di ciascuno, che può essere misurato attraverso uno strumento quale il Glottokit, realizzato da Vedovelli e Gensini nel 1983, «una sorta di carta di identità linguistica e socioculturale» dei bambini (ivi, p. 69), nella versione pensata appositamente per chi abbia background migratorio. Il glottokit dà per ciascun alunno una serie di informazioni importanti di tipo sociolinguistico, chiarendo il punto da cui parte.
Ci si sofferma quindi sulla dimensione lessicale, che appare fondamentale per affrontare la lingua dello studio: la conoscenza del lessico non va, infatti, lasciata semplicemente al caso (conoscenza implicita), ma comporta la predisposizione di un vero e proprio piano di alfabetizzazione lessicale a lungo termine con attività di insegnamento esplicito (ivi, p. 74). Esso si può avvalere di input differenti (in particolare comunicazione didattica in classe; materiali disciplinari scritti o audio/video; parlato del docente di L2 e materiali didattici specifici per l’apprendimento L2) e prevede per prima cosa di curare la conoscenza del Vocabolario di base della lingua italiana, sulla cui nuova edizione proposta da De Mauro nel 2016 ci si sofferma a p. 76.
Per il lessico specifico dello studio, poi, ci si deve muovere su un duplice fronte: da un lato, bisognerà lavorare per consolidare il lessico specialistico delle singole discipline scolastiche (e lo dovrebbero fare i singoli docenti); dall’altro, va dedicato ampio spazio al cosiddetto Lessico della conoscenza, che Ferreri (2005: 133-34) definisce:
«una sorta di lessico intellettuale non etichettato disciplinarmente, trasversale a più ambiti, privo di tecnicismi propri del sapere universitario. Esso non contiene vocaboli che appartengano ad aree ancora inesplorate, così non ci sono termini o espressioni tecniche […] ci sono invece concetti come adeguatezza, analogia, approssimazione, coerenza […] e procedure quali osservare, descrivere, spiegare… Parole come astratto, canone, dedurre… servono a parlare indifferentemente di filosofia o di matematica, di scienze o di letteratura, di giurisprudenza o psicanalisi».
Lavorare in modo esplicito sui 255 lemmi che costituiscono questa porzione di lessico è importante non solo per i non nativi ma anche per i madrelingua, dal momento che molti studi condotti sia a scuola che poi all’università mostrano come le competenze lessicali dei ragazzi si vanno abbassando sempre di più.
Conclude il capitolo una serie di esperienze didattiche che mostrano come sia possibile attuare un’educazione linguistica plurilingue nel concreto, attraverso diverse metodologie. Gallina infatti prende spunto da alcuni dei progetti in corso nelle scuole italiane (il translanguaging, l’Eveil aux langues e il percorso di Osservare l’interlingua) e sintetizza in modo chiaro alcuni percorsi fatti in classe, dai quali gli insegnanti possono prendere spunto, dalla primaria alla secondaria di II grado.
L’autrice, infine, dedica l’ultima porzione del suo testo a due brani tratti da saggi di fondamentale importanza per il tema dell’educazione plurilingue: da un lato, uno scritto di Massimo Vedovelli che nella sua Guida all’italiano per stranieri del 2010 definiva la lingua di contatto in contesto scolastico, individuandone tanto le peculiarità e le potenzialità quanto il rischio di conflittualità tra lingue e culture ad esse legate che si potrebbe sviluppare all’interno dello stesso individuo; dall’altro un brano di Rosa Calò 2015, che si sofferma sull’importanza dell’educazione plurilingue promossa, contemporaneamente dalla tradizione italiana del Giscel in poi e dalla politica europea. Segue una ricca bibliografia.