Riassumere è innanzitutto comprendere


La comprensione guidata dagli schemi: testi narrativo, descrittivo, argomentativo

Nella stessa produzione scritta, la pedagogia linguistica tradizionale tende a sviluppare la capacità di discorrere a lungo su un argomento, capacità che solo raramente è utile, e si trascurano altre e più utili capacità: prendere buoni appunti, schematizzare, sintetizzare, essere brevi, […]


Si tratta di uno spezzone delle Dieci Tesi, elaborate da Tullio de Mauro nel marzo 1975 e, un mese dopo, discusse da linguisti e insegnanti e assunte come punto di partenza per il neonato Giscel (Gruppo di Intervento di Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica).

Da allora sono passati molti anni e alcune affermazioni delle Dieci Tesi vengono percepite da molti come strettamente legate al momento storico. Come insegnanti dobbiamo però chiederci se alle forti denunce di quegli anni siano seguiti dei cambiamenti significativi, tanto da poter dire che oggi la scuola non è più come descritta allora, che oggi non serve più denunciare la pedagogia linguistica tradizionale, in quanto sostituita da un’altra pedagogia, più attiva, più incisiva, più democratica.

Nello specifico che consideriamo qui: a scuola, oggi, si insegna a riassumere? E, se lo si fa, come si insegna? Possiamo parlare di una nuova pedagogia e di una nuova didattica del riassunto?

Sul fatto che riassumere sia importante, non abbiamo dubbi, molti studi da allora ce l’hanno confermato e il riassunto è stato rivalutato, non solo sul piano sociale e comunicativo, ma anche su quello cognitivo.

Abbiamo capito che non si tratta solo di ridurre un testo e di produrne un altro più breve che ne mantenga le informazioni principali, ma che il riassunto è uno strumento linguistico utile ad acquisire la competenza della sintesi (come, appunto, affermava De Mauro). Tale competenza è in primo luogo di natura cognitiva: di un testo è necessario saper riconoscere le informazioni principali per comprenderlo e per ricordarlo (molti studi hanno dimostrato che l’abilità di riassumere e l’abilità di comprendere sono il risultato, nella mente, di procedimenti simili). Solo in seguito a quest’operazione si può concretizzare in una scrittura continua come il riassunto, ma anche in scritture non continue come gli appunti, o in scritture con scopi specifici come le schede di lettura, o in scritti “integrati” come le recensioni, o in verbali… È inoltre competenza fondamentale per lo studio, una delle “scritture per lo studio”, come è stata definita.

La scolarizzazione di massa dovrebbe aver spazzato via l’illusione che a fare tutto ciò (comprendere e riassumere) si impari da soli, che sia sufficiente la naturale maturazione biologica per raggiungere tali obiettivi. Ci dicono il contrario la nostra esperienza in classe, ma anche i risultati dei test INVALSI (ancora più critici dopo l’anno di pandemia). Non meno significativamente ce lo dicono le performance degli studenti universitari che dimostrano di aver bisogno, dopo 13 anni di scuola, di insegnamenti espliciti sulla comprensione del testo e sull’abilità di sintesi.

Dunque, insegnare a riassumere è necessario, ma da dove iniziare?

La comprensione, attività complessa

Certamente si inizia dalla comprensione, che è un’attività complessa, ma insegnabile: non vi può essere riassunto, se non vi è una preliminare comprensione corretta.

Dal momento che si legge in maniera sequenziale, cioè una frase per volta, un primo livello di comprensione è quello che si colloca sulla superficie del testo, aderente alla lingua: è necessario conoscere (o ri-conoscere, anche in base al co-testo) il lessico, padroneggiare la sintassi (essendo in grado di semplificare mentalmente dove sia troppo complessa) e individuare le connessioni testuali, quei legami (soprattutto anafore e connettivi) che, dopo la morfologia, ci guidano a collegare tra loro gli “individui” del testo, a capire, cioè, che un oggetto, un personaggio, un concetto, dopo essersi presentato per la prima volta, ricorre altre volte sotto altre forme (ripetizioni, sinonimi, unità lessicali superiori, pronomi, incapsulatori, ellissi). Per comprendere un testo ad un primo livello dobbiamo anche sapere (e saper riconoscere) che parti diverse di testo sono collegate attraverso i connettivi, ma anche che, talvolta, le connessioni ci sono, ma non ci sono i connettivi che le segnalano e dunque è necessario inferirle.

Rimanendo a contatto diretto con la lingua, ossia identificando il lessico, controllando la sintassi, individuando i legami testuali e cogliendo i nessi tra frasi adiacenti, abbiamo fatto molta strada verso la comprensione, ma non abbiamo ancora raggiunto la meta. Abbiamo attivato una rappresentazione parziale del testo, chiamata microstruttura, operando una cesura, dal punto di vista del significato, dopo un periodo e, di seguito, dopo un capoverso e comprendendo “pezzetto per pezzetto”. Abbiamo anche eliminato le informazioni secondarie, cioè abbiamo colto la gerarchia, ancora parziale, del testo, dal momento che la nostra memoria non consente di conservare tutto.

La comprensione però non si conclude a questo punto: si comprende quando si va oltre la superficie della lingua, quando ci si stacca dalla lingua e si ricavano i concetti più importanti di un testo, procedendo per successive generalizzazioni e astrazioni fino a costruire (ri-costruire) la macrostruttura del testo, che si allontana dalla superficie della lingua, perché è il frutto di successive focalizzazioni ed eliminazioni.

Solo a questo punto il testo è compreso: dalla lingua abbiamo ricavato i segnali di partenza, in un procedere bottom up (dal basso verso l’alto, dai dati ai concetti), ma la nostra mente, anche attraverso operazioni top down (dall’alto verso il basso, dai concetti ai dati), ha dato una “forma” al testo, operando progressive “potature”, ne ha ricostruito lo schema globale, una specie di “scheletro”, individuando il topic (o tema) di fondo (topic centrale), che aveva guidato, fin dall’inizio, l’autore. Per utilizzare la metafora del testo come un albero rovesciato, ne abbiamo conservato il tronco e abbiamo eliminato rami e foglie.

Poiché non si tratta soltanto di operazioni linguistiche, ma di processi cognitivi, per comprendere un testo non sarà sufficiente far operare a livello di lingua, come spesso suggeriscono gli apparati didattici dei manuali scolastici, ma sarà necessario guidare e sostenere i processi cognitivi, che, solo in seguito, daranno dei risultati veicolati dalla lingua.

Quando lo schema aiuta

Il modo di procedere della mente non è dunque solo dal basso verso l’alto, dagli “indizi” della lingua ai concetti: la mente lavora contemporaneamente anche nell’altra direzione, utilizza degli schemi depositati in memoria per interpretare i dati linguistici. Gli schemi sono di diverso tipo, in primo luogo quelli ricavati dalle esperienze di vita, ma anche altri di natura più segnatamente culturale.

Il tipo testuale gioca un ruolo importante in questo, in quanto un testo narrativo si presta più facilmente ad essere interpretato attraverso gli schemi-base. In esso infatti sarà facile riconoscere uno “schema delle storie” (simile agli schemi ricavati dall’esperienza di vita), sviluppo dello schema narrativo di base “chi / ha fatto che cosa / quando”. Qualcuno agisce in un certo tempo e in un certo ambiente, date certe condizioni iniziali e i passaggi sono relazioni di tipo causale e temporale. Tale schema (che si identifica attraverso poche domande astratte) aiuta a riempire la parte “non detta” del testo, attraverso operazioni inferenziali, e a individuarne la gerarchia.

I testi narrativi sono dunque i più facili da comprendere, almeno nella loro strutturazione basica, e lo sono anche perché la nostra vita, fin da bambini, è intessuta di storie (vissute, raccontate, lette, immaginate).
Seguendo Van Dijk (Text and context), possiamo dire che è appoggiandosi allo schema narrativo che vengono fatte le operazioni di focalizzazione, cancellazione, generalizzazione (parziale e globale), integrazione e costruzione che consentono di riassumere.

Anche il testo descrittivo sembra rispondere ad alcune domande astratte “che cosa / è dove /rispetto a che cosa”. Le sequenze principali di questo tipo di testo avranno dunque la funzione di rispondere a tali domande, saranno in questo modo riconoscibili e si porranno in primo piano, costituendo le caselle principali di uno schema globale del testo.

Il testo argomentativo è il terzo tipo ad avere uno schema individuabile, un’ossatura a livello astratto che ne caratterizza la natura, e che, molto schematicamente, si può indicare essenzialmente in tesi, argomento/i, regola generale, cui si possono aggiungere altri “slot” da saturare: l’antitesi, la riserva, la ripresa della tesi, la confutazione dell’antitesi, la fonte…. La comprensione di un’argomentazione è guidata top down da questo genere di schema.

Come per i tipi di testo di cui abbiamo parlato in precedenza (narrativo e descrittivo) le domande astratte aiutano, in un procedere dall’alto, a ricostruirne l’ossatura, il topic centrale.

Un discorso a parte va fatto per il testo espositivo, che non può avvalersi di uno schema individuabile e che anche per questo presenta delle difficoltà diverse e significative, e richiede una didattica in parte diversa.


Riserviamo all’analisi di questo tipo di testo l’articolo successivo.