recensione a Zuzana Toth, Tense and aspect in italian interlanguage, Berlin, De Gruyter 2020
Zuzana Toth, addottorata presso l’Università di Vienna, nella sua ultima pubblicazione, ci accompagna attraverso l’interlingua di 150 studenti stranieri e ci mostra come, studiandone approfonditamente i testi narrativi, sia possibile intravedere lo sviluppo del sistema dei tempi verbali e dei diversi fattori che ne fanno parte.
Nella descrizione e nello studio della grammatica di una lingua i verbi hanno da sempre un posto privilegiato: incuriosiscono, innescano ragionamenti e domande sul loro tortuoso utilizzo e, soprattutto, ci sfidano con la loro complessità. Perché ne siamo così affascinati? Cos’è che ci attira così tanto? D’altronde, i verbi sono il nostro strumento per parlare di noi stessi e della realtà che ci circonda, e attraverso i verbi restituiamo la complessità e gli innumerevoli punti di vista che si possono avere sul mondo. Hanno tante sfaccettature, il loro comportamento è variegato e multidimensionale, possiamo analizzarli a tanti livelli diversi. Per questi (e tanti altri) motivi lo studio dei verbi occupa un posto speciale nella ricerca linguistica, e non è certo una novità che il formalismo classificatorio delle descrizioni tradizionali lasci sempre più spazio, nei manuali e nelle grammatiche pedagogiche, a sistemazioni più articolate, ad approcci che guardano al significato oltre che alla forma. Per di più, ciò che la ricerca linguistica ha conquistato nel corso del tempo è il riconoscimento del valore che ha la competenza individuale dei parlanti: quello che sappiamo fare, quello che sappiamo valutare e osservare riguardo al linguaggio in quanto parlanti, è la chiave d’accesso per comprendere meglio il linguaggio stesso. Dall’esempio illustre degli Esperimenti grammaticali (Lo Duca 2004) sappiamo bene come, partendo dai dati reali della lingua e interrogando la nostra stessa competenza, sia possibile aprire un varco verso una conoscenza più complessa e interiorizzata.
Cosa accade quando a parlare e a studiare l’italiano non sono più solo i parlanti nativi dell’italiano L1? In che modo la ricchezza linguistica che i nuovi parlanti portano con sé può aiutarci nella ricerca?
Gli apprendenti dell’italiano L2 ci spingono a rivedere le nostre sovrastrutture sulla grammatica: ci aiutano a prendere in considerazione elementi normalmente messi in secondo piano e ci accompagnano nel mettere in relazione aspetti della nostra lingua.
Zuzana Toth parte da una domanda di ricerca: “In che modo i non-nativi codificano il tempo quando raccontano una storia in italiano?” (pag. 2 T.d.A.). È una domanda formulata in modo molto semplice, ma che porta la nostra attenzione verso un dominio che di semplice ha ben poco, ovvero il dominio del tempo linguistico. Eppure situare gli eventi nel tempo e rappresentarli costruendo una struttura in cui le cose accadono “prima – dopo – simultaneamente” è esattamente ciò che facciamo ogni volta che comunichiamo e, soprattutto, che raccontiamo qualcosa. Ma posizionare gli eventi sulla linea del tempo non è l’unica cosa che sappiamo fare: esprimiamo anche la durata di un processo, abbiamo bisogno di specificare se l’azione di cui stiamo parlando è conclusa o meno, oppure se lo svolgimento di un evento si sovrappone a quello di un altro. Queste informazioni sono incorporate nei tempi verbali dell’italiano, e rappresentano ciò che chiamiamo “aspetto verbale”, definito già da Bertinetto come “valenze semantiche che ineriscono ai tempi verbali” (Bertinetto 1986, pag. 78); così, nel sistema dei tempi verbali dell’indicativo in italiano, ci sono dei tempi che rappresentano l’aspetto perfettivo (ad esempio il passato prossimo e il passato remoto) e tempi che rappresentano l’aspetto imperfettivo (primo fra tutti l’imperfetto, ma anche il presente).
1) Mentre Marco cantava (imperfettivo), è arrivata (perfettivo) Lucia
Da un lato, attraverso l’aspetto perfettivo proponiamo una visione globale dell’evento, considerandone la completezza e visualizzandone il punto finale; con l’aspetto imperfettivo, invece, descriviamo un processo ancora in corso di svolgimento, non concluso. Se proviamo ad associare queste categorie alla linea del tempo, possiamo dire che i verbi caratterizzati dall’aspetto imperfettivo rappresentano azioni che hanno un’estensione indefinita nel tempo, mentre quelli caratterizzati dall’aspetto perfettivo hanno svolgimento in un punto preciso del tempo e possono addirittura occupare un singolo istante. L’aspetto verbale è dunque uno strumento espressivo che ci permette di dare una connotazione all’evento che stiamo rappresentando, permettendoci di imprimere il nostro punto di vista.
Nell’ottica dello studio sull’acquisizione dell’italiano L2 è piuttosto intuitiva, nonché confermata dalla ricerca in linguistica acquisizionale, l’associazione preferenziale tra aspetto perfettivo e tempi passati (come il passato prossimo), fin dai livelli di competenza più bassi.
Zuzana Toth aggiunge un tassello fondamentale nella sua ricerca, quello che in inglese è definito “discourse grounding”, ovvero il modo in cui in una lingua si codifica la struttura narrativa degli eventi in termini di elementi sullo sfondo (“background”) ed elementi in primo piano (“foreground”). La caratteristica principale dello sfondo è la continuità, quella del primo piano la sequenzialità: quando raccontiamo qualcosa poniamo una serie di eventi consequenziali, che hanno luogo in primo piano rispetto a una cornice. Anche in questo caso, sussiste una certa familiarità tra eventi in primo piano, perfettività e tempi come il passato prossimo da una parte, ed eventi sullo sfondo, imperfettività e tempi come l’imperfetto dall’altra. Aggiungendo un ulteriore livello di complessità, interagisce con le nozioni illustrate anche la categoria dell’azione verbale, legata al significato individuale di ogni lessema verbale: in base all’azione verbale, possiamo caratterizzare i verbi in base alla presenza o assenza di tratti come la teleicità, la dinamicità, la duratività (Jezek 2011). Per fare un esempio di associazione preferenziale con le categorie già citate, è lampante il legame che può esistere tra verbi telici (che contengono in sé l’idea di “fine” del processo rappresentato) e aspetto perfettivo.
Eppure, non tutte le lingue realizzano allo stesso modo queste categorie e gli studenti che apprendono l’italiano devono farsi strada in questo campo, come Zuzana Toth ci mostra fin dall’inizio riportando un estratto dalla narrazione della storia di Cappuccetto Rosso prodotta da un parlante non-nativo: “Alla fine è arrivato il cacciaguida e uccideva il lupo” (pag. 1).
Dunque, l’autrice di questa ricerca ha raccolto le produzioni di 230 studenti di italiano, principalmente tedescofoni che imparano l’italiano come L2 (o addirittura L3), attraverso esercizi di narrazione libera, personale e impersonale; la scelta della metodologia deriva dalla possibilità che la narrazione libera offre di raccogliere dati tendenzialmente non condizionati dalla conoscenza esplicita della lingua e dal monitor grammaticale (pag. 116) – come invece potrebbero essere i dati raccolti tramite esercizi più strutturati, come ad esempio i testi cloze (pag. 111). La descrizione dell’interlingua si arricchisce quindi grazie all’interrelazione fra le nozioni di tempo, aspetto verbale e discourse grounding, e attraverso i testi raccolti e analizzati da Zuzana Toth si può osservare come gli studenti non-nativi seguano un pattern di acquisizione coerente: dall’analisi dei dati apprendiamo che inizialmente l’opposizione principale codificata dagli studenti a bassi livelli di competenza è quella della temporalità, mentre l’acquisizione dell’aspetto e del discourse grounding si stabilizza con l’avanzare del livello di competenza.
In conclusione, ciò che emerge dalla ricerca di Zuzana Toth è che, nella complessità delle categorie esaminate e delle correlazioni interne al sistema verbale dell’italiano, è possibile individuare una serie di regolarità che ci aiutano chiarire alcuni aspetti dell’acquisizione dei non-nativi. Si ricordi, però, che trovare delle regolarità non significa semplificare il problema, e la ricerca di Zuzana Toth mette in luce proprio questo: è vero, sì, che sono individuabili dei pattern, ma è vero anche che l’altissima differenziazione del bagaglio linguistico dei non-nativi amplifica esponenzialmente le correlazioni da indagare e le strade che si possono percorrere nella ricerca.