Una domanda secca (ovvero una provocazione): che cosa ci fa la storia della letteratura italiana nella scuola secondaria inferiore? Da 10-15 anni è entrata, prima di soppiatto poi alla luce del sole, come componente prima marginale poi – per molti insegnanti – essenziale dell’insegnamento: tant’è vero che quasi tutti i libri di testo hanno un’ampia sezione dedicata alla storia della letteratura italiana. Qualcuno vi dedica un volume: in un caso, che ho sotto gli occhi, di quasi 700 pagine (!). Perché?
Non credo per motivi pedagogici o didattici. Se leggiamo la sezione ‘Italiano’ delle Indicazioni ministeriali del 2012 (nel gergo corrente “i programmi in vigore”) vediamo assolutamente privilegiato l’obiettivo di comprensione di testi espositivi e argomentativi, finalizzato all’acquisizione di una solida competenza nella lettura: la lettura – si legge – va costantemente praticata su un’ampia gamma di testi appartenente a vari tipi e forme testuali (da testi continui a moduli, orari, grafici, mappe ecc.) per scopi diversi e con strategie funzionali al compito. Insomma: educare alla comprensione di qualunque tipo di testo, per le diverse finalità per cui si può avere contatto con un testo, nella vita. È l’alfabetizzazione funzionale. E il testo letterario? È uno dei tipi di testo, al quale ci si avvicinerà per assicurarsene la migliore comprensione possibile: si leggeranno brevi testi letterari per coglierne il senso globale, si curerà la pratica della lettura personale e dell’ascolto di testi letti dall’insegnante “senza alcuna finalizzazione, al solo scopo di alimentare il piacere di leggere”. Il piacere di leggere, questo sconosciuto.
Sono indicazioni preziose, che sembrano proprio tarate sulla scuola di questi anni Venti del nuovo secolo. La drammatica urgenza e l’indiscutibile priorità di un’alfabetizzazione funzionale sono confermati, direi ratificati, dai risultati degli ultimi rilevamenti dell’INVALSI. Alla fine della terza media il 38% dei ragazzi non va oltre il secondo, o addirittura il primo, dei cinque livelli INVALSI relativi alla competenza linguistica. Il che vuol dire che, messo di fronte a un testo di media difficoltà, oltre un terzo dei nostri ragazzi non sa ricostruire il significato di una parte o dell’intero testo utilizzando informazioni implicite, non sa ricostruire relazioni di causa ed effetto, conosce quasi solo il significato di parole di uso abituale, non sa cogliere la struttura del testo e dunque – quanto meno – non coglie la funzione testuale di titoli, capoversi e paragrafi, non sa distinguere tra informazioni essenziali e informazioni accessorie, e così via. Solo il 10,1% dei ragazzi che escono dalla scuola media si colloca al livello 5, cioè “riconosce e ricostruisce autonomamente significati complessi, espliciti e impliciti in diversi tipi di testo. Coglie il senso del testo al di là del suo significato letterale, e ne identifica tono, funzione e scopo, anche elaborando elementi di dettaglio o non immediatamente evidenti. Riconosce diversi modi di argomentare”. Che sono competenze indispensabili e irrinunciabili per un lettore di testi letterari: romanzi, racconti, poesie. Uno su dieci.
I nostri media, in grande maggioranza, hanno presentato questi dati come conseguenza diretta della chiusura delle scuole e della didattica on line al tempo del Covid (il Corriere della sera, ad esempio, intitolava “Scuola, i lunghi effetti del Covid”): tesi in parte vera ma anche in parte discutibile, perché punteggi e tendenze negative erano già ampiamente presenti nel 2019 e prima ancora. Bisogna anzi dire che la pandemia non ha portato, come tutti pensano, a un aumento della dispersione scolastica implicita – cioè della percentuale di studenti che hanno terminato il processo formativo senza avere acquisito le competenze fondamentali – : al contrario, in questa speciale classifica si è scesi dal 9,8 del 2021 e dal 9,7 del 2022 all’ 8,7 del 2023 (aggiungiamo che il calo maggiore si è registrato in Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia: anche questo è un dato molto interessante, forse inatteso). Dunque la situazione è davvero molto preoccupante: COVID o non COVID, in generale si può dire che l’obiettivo ‘comprensione del testo’ – irrinunciabile nella scuola dell’obbligo, in particolare per l’approccio al testo letterario – è sempre più difficile da conseguire.
Così stando le cose, appare chiaro lo scopo prioritario di qualsivoglia opera di educazione linguistica: l’alfabetizzazione funzionale, che per quanto riguarda le abilità di lettura assicurerà ad ogni studente di possedere gli strumenti per sopravvivere, in una società complessa che in ogni suo meccanismo di funzionamento utilizza al massimo le risorse della lingua (e non di rado le sfrutta per fini ingannevoli). I testi della tradizione letteraria fanno parte di questo progetto che punta alla piena acquisizione delle competenze linguistiche di base, in diverse fasi e con diverse funzioni: in primo luogo come oggetti privilegiati di riflessione individuale e di discussione collettiva per arrivare alla migliore comprensione possibile non con catechizzazioni ex cathedra ma attraverso un processo di co-costruzione dei significati (e dei contesti): questa strada consente di arrivare a cogliere il senso globale del testo, e favorisce discussioni su personaggi, fatti, comportamenti, situazioni che avvicinano il bambino al suo mondo reale, ai suoi interessi e alle sue curiosità. Come si legge nelle Indicazioni del 2012: “ruolo primario assume il leggere per soddisfare il piacere estetico dell’incontro con il testo letterario e il gusto intellettuale della ricerca di risposte a domande di senso”. Ma i testi letterari sono anche l’oggetto privilegiato per scoprirne – sempre per acquisizioni progressive, discusse e condivise – la struttura testuale e per riflettere sul funzionamento di componenti fondamentali della struttura della lingua, per scoprire insieme – studenti e insegnanti – su testi piacevoli e stimolanti, le caratteristiche inerenti di variabilità diafasica, diacronica, diamesica (e persino diatopica) della lingua.
Rispondono a queste esigenze le sezioni – o i volumi – di storia della letteratura offerti dall’editoria scolastica? Francamente no. Ognuno è progettato e confezionato come un’editio minor della Storia della letteratura per i Licei (ma ad alcuni quel ‘minor’ va stretto), secondo la formula classica: presentazione del secolo – o della corrente letteraria – e poi, per ogni autore, vita e opere, poetica (o corrente a cui appartiene), passi scelti – o racconti o poesie – analiticamente commentati, e alla fine le consuete domande di verifica. Il tutto in rigoroso ordine cronologico, con tutte le informazioni utili per agganciare ogni autore al suo tempo (contesto storico), ai suoi predecessori e al clima letterario dell’epoca (contesto culturale). È la classica soluzione ‘mista’, molto in auge negli ultimi anni, che mette insieme un approccio storicistico (tendenzialmente meccanicistico) e uno post-strutturalista (con riferimento prevalente all’analisi testuale anni ‘80), e una spolverata di critica tematica. L’intentio lectoris, che porterebbe in primo piano i sistemi di significazione del lettore, e in ultima analisi il singolo processo di ricezione, e l’intentio operis, che richiederebbe metodologie jackobsoniane e proppiane, restano in ombra, oscurate dal permanere del metodo storicistico, che trascina dall’Ottocento la sua visione progressiva della storia, lungo la linea De Sanctis – Sapegno – Petronio. Corollario inevitabile: la prevalenza di contenuti ideologici e astratti sul contatto diretto, immediato, al limite emotivo, con l’opera.
Insomma: sembra che la Storia della letteratura in editio minor non solo sia poco rispondente alle esigenze didattiche primarie della scuola media odierna, ma non sia aggiornatissima sul piano metodologico-epistemologico: quest’ultima caratteristica corre il rischio di proiettare sulla scuola secondaria superiore uno schema mentale della letteratura aproblematico e del tutto convenzionale.
Neppure questo è un buon viatico, per un’operazione che sembra partita senza solide basi pedagogiche e didattiche.