Tra le critiche da più tempo rivolte alla didattica dell’italiano vi è quella di trascurare, in classe, la differenza tra varietà scritta e varietà orale della nostra lingua. Già nel 1975, nel documento Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica preparato dai soci del GISCEL, si affermava che «la pedagogia linguistica tradizionale trascura di fatto e, in parte, per programma, la realtà linguistica di partenza […] degli allievi» (tesi 7). A questa criticità, il gruppo rispondeva ponendo l’accento sull’obiettivo di stimolare gli studenti a cogliere «il senso delle diverse esigenze di formulazione inerenti al testo scritto in rapporto all’orale», lavorando con loro sul «passaggio dalle formulazioni più accentuatamente locali, colloquiali, immediate, informali, a quelle più generalmente usate, più meditate, riflesse e formali» (tesi 8). Nelle aule, tuttavia, è ancora presente una certa resistenza al cambiamento, che àncora l’italiano scolastico al retaggio di una lingua compatta, monolitica, definita in passato “scolastichese”.
In accordo con le dieci tesi del GISCEL, una buona pratica didattica esigerebbe di partire dalla realtà linguistica concreta degli allievi. Da questo caposaldo nasce il documento allegato (in calce alla pagina), dal titolo “Come parlano i ragazzi in Veneto”. La ricerca aveva lo scopo di identificare quale varietà debba considerarsi, nel 2021, realmente parlata tra i giovani italiani. Il metodo di lavoro ha previsto due fasi: registrare una conversazione colloquiale tra giovani; trascrivere la stessa seguendo i criteri di VOICE (versione 2.1 di giugno 2007). Il lavoro su campo, inoltre, non ha potuto eludere la dimensione di variazione diatopica presente in tutta la nostra penisola, da cui la presenza dei tratti veneti nell’elaborato.
La trascrizione palesa la diffusione della varietà dell’italiano informale-trascurato nella comunicazione quotidiana tra giovani. La tendenza dell’italiano informale-trascurato ad avvicinarsi a forme di comunicazione neostandard e colloquiali, del resto, era già stata mostrata da Antonelli, che nel saggio Lingua (2010) aveva rivisto – riducendo le distanze tra varietà – lo schema precedente di Berruto, apparso per la prima volta in L’architettura dell’italiano contemporaneo (1987).
Analizzando una qualsiasi produzione di studenti di ogni ordine e grado, ci si accorgerà che alcuni di questi tratti linguistici affiorano anche nella varietà scritta dell’italiano. Perciò, di seguito, si prenderanno in considerazione le costruzioni tipiche del parlato che più comunemente risalgono fino allo scritto, seguendo una divisione in livelli di analisi del linguaggio che prevede: testualità (1-3); morfologia e sintassi (4-7); lessico (8-10).
1. Tratti linguistici che riguardano la scarsa pianificazione del testo
Sono raggruppate sotto quest’etichetta alcune costruzioni tipiche del parlato, come false partenze, interruzioni, cambiamenti di progettazione sintattica, ripetizioni. Due di queste costruzioni comuni nella produzione scritta sono: il tema sospeso, ovvero un’espressione in cui una frase completa dal punto di vista sintattico è preceduta da un sintagma nominale isolato, che funge da tema; la ridondanza di uno stesso sintagma, per specificare progressivamente quanto detto in precedenza. Un esempio tipico della seconda costruzione, tratto dal testo allegato, è il seguente: «per le squadre ci metti CINquanta minuti per far le squadre».
2. Ricorso al discorso implicito
Con l’espressione “discorso implicito” si indica quella parte di ciò che non viene detto che può essere ricostruita dal ricevente, grazie agli indicatori presenti nel testo e a strategie d’inferenza. Ad esempio, nel testo allegato, nella frase «alle Risorgive a vedere il basket agli europei», si suppone che l’interlocutore colga che si è stati a vedere delle partite di pallacanestro dei Campionati Europei in televisione, trasmesse al bar le Risorgive. L’eccessivo ricorso all’implicito nelle produzioni scritte può generare un cortocircuito nella possibilità di comprensione del lettore.
3. Presenza di segnali discorsivi
Si tratta di una categoria funzionale, non lessicale/grammaticale, costituita da formule prive di valore informativo, che svolgono diverse funzioni. Nell’allegato, ad esempio: «no?», «allora?», con funzione di verifica dell’informazione; «capito?» con funzione di controllo dell’avvenuta ricezione; «vuoi o no», con funzione di esemplificazione.
4. Frasi segmentate di vario tipo
Rientrano in questa categoria le frasi con tema sospeso (già analizzate nel punto 1), le dislocazioni a sinistra o a destra, le frasi scisse o pseudoscisse. Un esempio di dislocazione a sinistra presente nella trascrizione è il seguente: «quello l’ho presente». La dislocazione è una costruzione in cui, per attribuire particolare enfasi a un costituente, esso non occupa la posizione prevista dalla struttura SVO e il suo posto nella frase viene ripreso da un pronome clitico. La frase scissa ottiene lo stesso effetto di focalizzazione attraverso una struttura che segue il modello “È X che”. Un esempio tratto dall’allegato è: «è solo ʼsto stradone qua che».
5. Semplificazione del sistema verbale e «morte» del congiuntivo
La semplificazione del sistema verbale, nel testo trascritto, è visibile forse nell’impiego del periodo ipotetico in forma substandard. Ciò prevede la riduzione del periodo ipotetico a due sole costruzioni: quella della realtà/possibilità e quella dell’irrealtà. Nel testo sono presenti alcuni esempi della prima, che prevede protasi e apodosi entrambe all’indicativo (ma non imperfetto, usato, nel sistema substandard, per esprimere l’irrealtà): «se andiamo a destra arriviamo alla rotonda:»; «Se (.) tu […] vai dritto vai verso:».
Si osservi però anche, come fa notare Serianni nell’articolo Giusto e sbagliato: dove comincia il territorio dell’errore? (2014), che la «lamentata morte del congiuntivo» non trova conferma in «un effettivo abbandono di questo modo verbale». Accanto a fenomeni di semplificazione, infatti, troviamo nel testo un esempio di congiuntivo («passino»), che dimostra che la sua scomparsa nelle varietà informali non è così ovvia.
6. Uso di una gamma ristretta di connettivi
La semplificazione operata dalla varietà orale non riguarda solamente il sistema verbale, ma anche quello dei connettivi. Nel parlato, infatti, si utilizzano pochi connettivi e pressocché sempre gli stessi. Nell’allegato compaiono: «perché», «però», «ma», «quindi», «cioè», «e», «comunque».
7. Ridondanza pronominale
La ridondanza pronominale è un fenomeno caratteristico della produzione orale, che risponde solitamente a un’esigenza di intensificazione o di ripresa a una certa distanza dell’informazione principale. Ad esempio, nel testo si segnala: «è solo ʼsto stradone qua che non lo prendo mai».
8. Uso di lessico alterato
Dal punto di vista lessicale, l’esigenza espressiva tipica del parlato si manifesta attraverso l’uso frequente di lessico alterato. Nell’allegato, si vedano come esempio: «laghetto», «stradone».
9. Ampio utilizzo di parole dal significato generico
Una minore diversificazione nelle scelte lessicali è un altro tratto tipico della varietà orale dell’italiano. Ciò comporta la frequente ripetizione delle stesse espressioni e l’uso sovrabbondante di parole dal significato generico: «se […] vai dritto vai verso: […] se vai dritto. se vai a sinistra vai a treviso se vai a destra ritorni a oderzo».
10. Ricorso ai deittici
Con il termine “deittico” si indica un insieme di forme linguistiche appartenenti a diverse categorie lessicali, per la cui interpretazione è necessario riferirsi alla situazione entro cui sono prodotte. Nel linguaggio orale è tipico l’uso della deissi spaziale e temporale; nel testo, ad esempio, si trovano: «qua», «là», «qui».
Se una buona pratica didattica non può eludere la conoscenza della realtà linguistica di partenza degli allievi, è altrettanto importante, seguendo le indicazioni proposte dalle Dieci Tesi, che gli studenti acquistino familiarità con il senso riposto nelle diverse varietà – tra cui quelle del continuum scritto-orale – dell’italiano. In conclusione a questa analisi dell’italiano parlato, allo scopo di sensibilizzare gli allievi ad un uso duttile della lingua, si intende offrire qualche spunto per degli esercizi sull’italiano parlato.
Un primo esercizio, che interseca tutti i livelli di analisi della lingua, riguarda la riformulazione di frasi dalla varietà scritta a quella orale, e viceversa (precisando, inoltre, il registro da adottare). Un compito di questo tipo può risultare utile non solo a livello testuale, ma anche per analizzare singoli fenomeni di morfosintassi. Qualora si chieda, ad esempio, di raccontare un fatto occorso nel passato o di formulare un proprio desiderio per il futuro, ci si potrà concentrare sull’uso, differente nelle due varietà, dei modi e dei tempi verbali.
Un secondo esercizio, anch’esso collocabile a cavallo tra il livello testuale e quello morfo-sintattico, riguarda la capacità di identificare i segnali discorsivi e i connettivi di uso troppo generico. Quest’esercizio prevede di partire da un testo orale, trascritto, e di distinguere al suo interno i segnali discorsivi, privi di valore informativo, dai connettivi, indispensabili per il procedere del discorso. In vista della trasformazione del discorso orale in discorso scritto, i primi andranno eliminati, mentre tra i secondi, quelli troppo generici andranno sostituiti con altri più specifici.
Infine, si propone un terzo esercizio che riguarda il livello lessicale. Il compito prevede di annotare un buon numero di parole appartenenti al gergo giovanile contemporaneo o a quello della generazione precedente. Questa lista, in seguito, servirà per due diverse attività: in un primo momento, la traduzione dell’espressione dall’italiano parlato all’italiano scritto; quindi, soprattutto per quanto riguarda i termini più comuni o attestati da più tempo, una ricerca sul dizionario per controllare se tali parole si siano imposte, nel tempo, anche nell’italiano scritto.
Senza dubbio, queste proposte non esauriscono i numerosi esempi di esercizi sulla varietà scritta-orale che si possono creare. Si vorrebbero, in conclusione, sottolineare due principi ispiratori che possono guidare l’insegnante nella sua scelta. Il primo è che l’esercizio rifletta un uso reale della lingua, generando in questo modo competenza e interesse. Il secondo è che la riflessione tenda il più possibile al coinvolgimento di tutti i livelli dell’analisi linguistica, non solo di quelli tradizionali. In quest’ottica, sarà importante che gli allievi si esercitino anche su aspetti di testualità, semantica, pragmatica, sociolinguistica.