Giusy Quarenghi, raffinata poetessa che si rivolge spesso ai bambini, apre la sua ultima raccolta (La capra canta, Topipittori, 2021) con questa citazione di Antonio Porta:
Faccio poesia per vendicare tutti i bambini, quelli presenti, quelli passati (compreso me stesso), e quelli futuri, perché ai bambini viene impedito di reinventare linguisticamente il mondo come invece vorrebbero.
Non trovo parole più adatte a introdurre le pratiche didattiche con cui ancora oggi vengono avvicinati alla poesia bambini e ragazzi nella scuola dell’obbligo. Il segmento in cui lavoro è quello che, per immediatezza e semplicità, continuerò a chiamare scuola media (“secondaria di primo grado” è invece la dicitura prevista nell’attuale scansione ministeriale).
Molti colleghi concorderanno sul fatto che già a partire dalla preadolescenza una fetta di studenti manifesti una poco velata indisposizione nei confronti della poesia e che gli stessi docenti, chiamati a svolgere “il programma” (termine desueto burocraticamente ma in voga nel pensiero e nella pratica di molti insegnanti), provino un certo senso di colpevolezza quando siano costretti – dalla prassi curricolare – a “spiegare” la poesia. E la poesia viene opportunamente spiegata anche in tutta la manualistica scolastica che prevede una sezione più o meno corposa dedicata al testo poetico, sezione alla quale si appigliano i docenti per orientarsi in questo terreno fertile per gli sbadigli dei ragazzi.
Sono convinta che sia dovere degli insegnanti restituire alla poesia letta in classe l’incanto e la meraviglia con la quale ciascuno di noi, nella dimensione di una lettura intima e privata, si accosta al testo poetico, lasciando che esso parli attraverso quel gioco artistico e creativo che si muove costantemente tra la dimensione del suono e quella del senso. Sono altresì convinta che il compito della scuola sia motivare i giovani alla lettura di poesie in modo tale da predisporli all’analisi testuale senza pregiudizio ma con la stessa curiosità che li rende lettori appassionati di racconti e romanzi. E si badi, il pregiudizio è lo stesso che accomuna una certa visione intellettuale della poesia: una forma alta, fruibile (e componibile) solo da spiriti eletti, segregata in un mondo accessibile ai pochi possessori della chiave interpretativa della testualità letteraria. Dice bene Roberto Piumini, poeta pienamente accolto nell’editoria scolastica, in un intervento dal titolo Poesia presente, a corredo del volume di Grazia Gotti, Come un giardino. Leggere la poesia ai bambini «La poesia dovrebbe abitare la normalità dell’esperienza scolastica».
Come fare, concretamente? Rispondo semplicemente illustrando la strada che ho percorso io: una via ancora da aggiustare ma che ha cominciato da subito a produrre frutti succosi anche in contesti scolastici ad alto tasso migratorio, dove il background socio-culturale degli studenti non brilla per ricchezza e dinamismo. Due sono le chiavi vincenti: primo, rendere la lettura di poesie un appuntamento fisso, uno spazio riconoscibile e dedicato (i miei allievi, una terza media, lo hanno ribattezzato Il Lunedì della poesia) in cui la poesia risuona ad alta voce, più volte, per poi lasciare spazio a minuti di silenzio e godimento intimo, all’individuazioni di connessioni personali, per ritornare ad una condivisione su ciò che si è notato e riannodare in modo collaborativo il suo filo analitico ed interpretativo.
Secondo, fornire ai ragazzi il testo poetico nella sua purezza, senza mediazione critica preliminare. Per fare ciò, i testi debbono essere accuratamente selezionati in modo da permetterne sia la comprensione autonoma sia l’attivazione del dinamismo interpretativo. Una poesia incomprensibile innesca infatti nel lettore una reazione di rifiuto e una predisposizione alla noia nei confronti della lezione adulta. Credo che le antologie scolastiche, che corredano i testi di apparati critici soverchianti (il testo è avviluppato da indicazioni pre-lettura, post-lettura, sopra, sotto, nel margine sinistro e talvolta pure in quello destro) siano il primo scoglio contro il quale si infrange la motivazione dei ragazzi. Il successivo, è la convinzione che la poesia vada spiegata, non scoperta gradualmente, e che i ragazzi non abbiano competenze di comprensione sufficienti. Così come risulta difficile da scalfire l’idea che il godimento del testo non possa innescarsi se prima non si conoscono la vicenda biografica dell’autore e il suo contesto culturale di riferimento.
Detto in altre parole, a scuola si verifica il paradosso per cui il testo poetico, lungi dall’essere il fine, diventa funzione dell’apparato critico, che gli studenti devono fissare nella mente e ripetere oralmente o per iscritto più e meglio della poesia stessa. Come già accennato, rompere questo paradosso significa prima di tutto che nella scuola media gli insegnanti dovrebbero padroneggiare non solo la produzione poetica dei grandi autori ma soprattutto quella di autori più vicini cronologicamente e per sensibilità al lettore preadolescente: oltre al già citato Piumini, vale la pena di ricordare Carminati-Quarenghi-Vecchini, una terna femminile e qualitativamente garantita in un panorama articolato e di buon livello. Nulla esclude poi che i poeti canonici siano presentati all’interno di percorsi di senso o dopo aver affinato le competenze di lettura necessarie.
La classe, considerata comunità ermeneutica d’eccellenza (all’interno della quale si ascolterà anche la voce matura del docente) diventerà allora il luogo ideale per leggere poesia, per osservarla quasi fisicamente, per giungere ad una definizione condivisa del suo significato profondo. Mi piace pensare alla lettura insieme ai ragazzi come ad uno sprofondamento nelle acque della poesia: la rottura della sua superficie, una caduta libera in profondità, la sospensione – per un attimo – del pensiero e del giudizio, ed una riemersione che faccia definitivamente volare testa e cuore di chi legge. Una volta diventati nuotatori provetti, i ragazzi non saranno più spaventati anche quando le acque si faranno torbide, e non perderanno la capacità di cogliere il piacere e la bellezza del testo nel momento in cui il percorso scolastico superiore li obbligherà ad analisi più rigorose.
Preceduta dall’abitudine a leggerla, la poesia diventa poi interessante occasione di manipolazione scritta e di attività ponte tra lettura e scrittura: di seguito troverete il risultato di un percorso di scrittura in poesia – durato quasi due mesi – realizzato con una terza media dell’istituto dove insegno: per ragioni di privacy ho eliminato dall’antologia, scritta ed illustrata dai ragazzi (Versi DiVersi: battiti di poesia giovane), i nomi dei “giovani” autori ma è importante sottolineare che si tratta di studenti per la maggior parte di origine non italiana, per un gruppo cospicuo dei quali l’italiano è stato acquisito a seguito di prima alfabetizzazione nella lingua madre. La classe è stata esposta, fin dall’inizio dell’anno e con le modalità sopra descritte, alla lettura condivisa di poesie di autori e temi il più svariati possibile (da Pablo Neruda a Giorgio Caproni, da Chiara Carminati a Emily Dickinson, da Andrea Molesini a Sanguineti e Fortini) sino alla proposta di vestire i panni dello “scrittore”, di poesia naturalmente. Abituati a osservare, qualche volta smontare letteralmente le tecniche usate dagli autori, e a chiamare per nome le figure di suono e di significato incontrate, i ragazzi non si sono fatti cogliere impreparati.
Per facilitare l’avvio ho suggerito loro – in modo non vincolante – di “copiare” tecniche e schemi da tre modelli circoscritti (che potrete leggere in appendice al testo digitale); al contempo li ho guidati, seguendo i passi che Nancie Atwell propone nel celebre In the middle, con alcune brevi lezioni di scrittura, a cogliere il vigore poetico della prima persona, all’importanza di gestire gli spazi (pause, fine-verso, fine-strofa) in modo consapevole e motivato, a distillare il linguaggio scegliendo parole semanticamente evocative disposte in modo non casuale. Ne è conseguito un lavorio alacre, un letterale volteggio, in classe, di prime, seconde, terze bozze, revisioni, aggiustamenti, riletture a coppie, versioni concluse, meditazioni sull’attribuzione di un titolo. Insomma, un’esperienza il più possibile concreta sul binomio lettura e scrittura in versi.
Un’esperienza totale, che ha definitivamente spazzato, in questi ragazzi, qualsiasi timore reverenziale nei confronti della letteratura in poesia rendendoli altresì consapevoli delle potenzialità espressive della lingua usata, prima o seconda che fosse. Includendo davvero tutti, italofoni e non, alunni portatori di bisogni educativi speciali, di disabilità e non: il “peso della parola” non ha allontanato nessuno (un alunno cinese, neo-arrivato e digiuno di italiano, ci ha proposto in lingua originale e traduzione una poesia di un autore del suo paese). Anche la sottoscritta si è messa alla prova con il proprio componimento: ritengo non ci sia miglior coinvolgimento che quello dei docenti, quando si mettono in gioco insieme agli studenti, a tenere alto il livello motivazionale.
Spendo qualche battuta per chiarire il testo introduttivo alle poesie dei ragazzi: terminato il percorso ho chiesto a ognuno di ricostruire il percorso fatto insieme e di trovare la formula per poterlo raccontare ad altri. Ne sono usciti 20 “viaggi”, diversi nello stile molto simili nei contenuti: ho selezionato io alcuni pezzi che contribuissero ad illuminare la voce di ciascun autore.
Mi auguro, in chiusura, che questi “battiti di poesia giovane”, al di là del valore letterario più o meno significativo, contribuiscano ad aprire nella scuola uno spazio per la poesia capace davvero di stimolare in tutti i nostri ragazzi l’uso consapevole e creativo dell’espressione verbale.
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